Lavoratore autonomo, libero professionista, freelance: queste definizioni, seppure spesso utilizzate – erroneamente – in modo intercambiabile, in realtà non sono affatto sinonimi, anzi, ciascuna ha un significato ben preciso e caratterizza una modalità e una tipologia di lavoro diversa dalle altre.
In questo articolo analizzeremo nel dettaglio la figura del libero professionista, provando a illustrare chi è e quali lavori può svolgere, quali sono i pro e i contro di questa attività, quali obblighi ha, qual è il quadro della situazione dei liberi professionisti oggi in Italia e in che cosa si differenzia da altri inquadramenti professionali.
La definizione di libero professionista indica che egli è un lavoratore autonomo che svolge per conto terzi e senza un vincolo di subordinazione un’attività di tipo intellettuale a fronte di un corrispettivo. Dunque, il libero professionista fa parte della macrocategoria dei lavoratori autonomi, cioè non dipendenti, ma deve avere la particolare caratteristica di svolgere un lavoro che non sia di natura manuale, commerciale o pratica (dunque non può essere né un artigiano né un commerciante), bensì intellettuale.
Spesso, ma non sempre, i liberi professionisti per poter portare avanti la propria attività devono iscriversi a un albo professionale, a un collegio o a una associazione di categoria e devono di conseguenza risultare in possesso di un diploma di laurea nel proprio settore: questo è valido ad esempio per i medici, per gli architetti, per gli psicologi, per i giornalisti, per gli avvocati, per gli ingegneri, per i notai e così via.
Con 1.402.000 unità (dati “Rapporto 2022 sulle libere professioni in Italia” di Confprofessioni) i liberi professionisti rappresentano il 28,5% del lavoro indipendente in Italia, segnando una crescita ininterrotta dal 2010, fatta eccezione per la battuta d’arresto dovuta alla pandemia che tra il 2018 e il 2021 ha determinato una contrazione pari al 2% (-24 mila unità), in controtendenza rispetto al lavoro indipendente che tra il 2018 e il 2021 ha perso 343 mila posti di lavoro. L’emergenza Covid ha avuto ripercussioni soprattutto sui liberi professionisti con dipendenti, dove negli ultimi quattro anni si è registrata una flessione di circa il 13%, soprattutto nelle aree del Nord Ovest e del Centro.
La progressiva crescita del comparto libero professionale e la parallela contrazione del lavoro autonomo hanno portato ad una riconfigurazione dell’universo dell’occupazione indipendente in Italia: se nel 2009 i liberi professionisti valevano solo il 20% del lavoro indipendente, oggi la loro quota è salita al 28,5%. I settori più dinamici sono quelli legati alle professioni scientifiche e tecniche e all’area sanità e istruzione. Sempre sul piano occupazionale si assiste a un forte divario tra il Nord e il Mezzogiorno: mentre le regioni del Nord si allineano alla media europea (68,2% nel secondo trimestre 2022), nel Sud e nelle isole il tasso di occupazione si ferma al 47%.
La prima cosa da fare per diventare un libero professionista è informarsi molto bene su cosa significa lavorare in modo autonomo e analizzare in modo approfondito i pro e i contro di questa condizione e la situazione del proprio settore professionale e del suo mercato, come vedremo nei paragrafi successivi di questa guida.
Certamente bisogna sapersi mettere in gioco, essere prudenti ma allo stesso tempo avere un pizzico di coraggio per rinunciare a un posto e a uno stipendio fissi, da dipendente, e svolgere un’attività in proprio, senza datori di lavoro né certezze, ma con altrettanti vantaggi.
In ogni caso, dopo un percorso di studi universitario e il conseguimento di un titolo di laurea, per iniziare a operare come liberi professionisti è necessario iscriversi al proprio albo professionale, quando questo è previsto, oppure farsi una rete di contatti e iniziare a proporre i propri servizi a quelle aziende o realtà che potrebbero averne bisogno: in questo modo si avvia la propria carriera e piano piano, sempre compiendo scelte oculate, si può ampliare la propria rete e dunque i propri giri di affari.
Chi intende iniziare a lavorare come libero professionista si porrà senza dubbio la domanda fatidica: è necessario aprire la partita IVA oppure no?
Tecnicamente per iniziare a esercitare la propria professione come libero professionista non è richiesta la partita IVA: egli, infatti, può sfruttare la prestazione occasionale ed emettere un documento chiamato ritenuta d’acconto che sostituisce la fattura.
Questo però è possibile solamente se il libero professionista non deve per legge essere iscritto a un albo, se la collaborazione è di massimo 30 giorni annuali e se guadagna in un anno meno di 5.000 €: raggiunta questa soglia, è invece obbligatorio per legge possedere la partita IVA, scegliere quale tipo di regime fiscale adottare (tendenzialmente per chi inizia sarà il forfettario, che permette diverse agevolazioni e sgravi, e non l’ordinario), emettere regolare fattura per ogni servizio svolto e risultare iscritti all’INPS.
Dunque per coloro che intendono lavorare (e guadagnare) in modo prevalente o totale come liberi professionisti è di fatto necessario aprire la partita IVA.
L’apertura della partita IVA, in sé, non è difficile e non prevede costi: possono bastare anche solo 24 ore ed è sufficiente rivolgersi al proprio commercialista per avviare la pratica oppure direttamente all’Agenzia delle Entrate e compilare il modello AA9/12 per le persone fisiche al fine di ottenere il proprio numero di identificazione.
Bisogna però considerare che l’avere una partita IVA comporta alcune spese fisse (oltre naturalmente alle tasse e ai contributi che il libero professionista dovrà pagare annualmente), che sono essenzialmente le spese di gestione da garantire al commercialista al quale si affiderà la partita IVA: è sempre bene, infatti, rivolgersi a un professionista del settore per districarsi al meglio in questo complesso settore ed evitare di incappare in brutte sorprese, sanzioni o errori fiscali difficilmente poi riparabili.
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Per definizione, le mansioni che un libero professionista può svolgere devono essere di natura intellettuale: egli non può quindi essere un commerciante o un agricoltore ma il suo servizio deve essere di tipo creativo e, appunto, intellettuale.
Spesso bisogna essere iscritti a un albo professionale (ma la cosa non è strettamente necessaria poiché alcune attività non prevedono al momento un albo di riferimento); ad oggi in Italia ci sono 28 ordini o collegi a cui sono iscritti oltre 2.300.000 professionisti e che raggruppano i principali lavori che un libero professionista può svolgere. Tra questi ricordiamo alcuni dei più noti: il medico, l’avvocato, l’ingegnere, l’architetto, il notaio, il giornalista, il geologo, lo psicologo, l’agronomo, il farmacista, il veterinario.
Esistono anche, come dicevamo, alcuni lavori di tipo intellettuale per i quali ad oggi non esiste un albo e che sono svolti dai liberi professionisti: si riferiscono principalmente alle professioni più nuove e non ancora organizzate o regolamentate, come quella del copywriter, del fotografo, del social media manager, del grafico, dell’editor ma anche del coach sportivo, della guida turistica e così via.
Per essere un libero professionista in regola con la legislatura italiana è necessario rispettare alcuni adempimenti; nello specifico:
Arrivati a questo punto della guida, alcuni dei vantaggi dell’essere libero professionista sono evidenti:
Allo stesso tempo, nonostante i diversi vantaggi, per scegliere in modo consapevole è necessario conoscere bene anche l’altra faccia della medaglia, quella degli svantaggi che chi sceglie di essere un libero professionista rischia di incontrare.
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In termini di reddito complessivo, la libera professione vale oltre 40 miliardi di euro in Italia e quasi l’84% di tale reddito proviene dai professionisti iscritti alle Casse di previdenza private, ovvero sostanzialmente dai professionisti ordinistici. Permane tuttavia un forte divario tra i redditi medi dei professionisti ordinistici (attorno ai 35 mila euro,) e non ordinistici (circa 15.500 euro). Tra gli iscritti alle Casse di previdenza private, i redditi più elevati si registrano tra gli attuari (87.275 euro), i commercialisti (68.000 euro) e i consulenti del lavoro (54.855 euro) mentre chi guadagna meno sono agrotecnici, psicologi e giornalisti.
I numeri cambiano se si guarda ai professionisti iscritti alla Gestione separata. Nel 2021 si contano oltre 400 mila professionisti attivi, per un reddito medio pro capite di circa 15.500 euro in calo rispetto ai 19 mila euro del 2010.
Ecco alcuni numeri appartenenti ai professionisti senza Ordine Professionale iscritti a INPS:
In questo articolo abbiamo descritto le caratteristiche del lavoro del libero professionista: per evitare di fare confusione tra le varie definizioni, analizziamo ora le differenze che esistono tra il libero professionista e il lavoratore autonomo, l’imprenditore, il freelance e la ditta individuale.
Poiché, come abbiamo visto, il libero professionista per definizione svolge una mansione di natura intellettuale, tutti coloro che lavorano in modo non dipendente svolgendo mansioni di tipo diverso, ad esempio commerciale o manuale, sono lavoratori autonomi (ad esempio, infatti, i commercianti e gli artigiani).
La distinzione è sottile, perché sia il lavoratore autonomo che il libero professionista hanno rapporti di lavoro non subordinati e possiedono una partita IVA, ma la cosa che li differenzia è appunto la natura della loro attività professionale.
Il libero professionista tecnicamente è un imprenditore, poiché si assume il rischio della propria attività. Nel momento in cui questa start-up cresce e assume dipendenti e collaboratori, l’imprenditore non è più libero professionista ma diventa il titolare di un’impresa vera e propria, come una S.r.l.
L’attività del libero professionista non costituisce una ditta individuale: quest’ultima, infatti, viene realizzata al fine di avviare un’impresa di tipo commerciale o artigianale (dunque non intellettuale), come può essere un lavoratore che opera in modo individuale come l’estetista, l’idraulico, l’elettricista, il muratore o colui che vende servizi e beni. Coloro che aprono una ditta individuale, inoltre, hanno l’obbligo di essere iscritti al registro delle imprese, onere che invece non ha il libero professionista.
Come il libero professionista, anche il freelance è un lavoratore che svolge un’attività di tipo intellettuale, dunque si può dire che il freelance è una sottocategoria dei liberi professionisti. A differenza di questi ultimi, però, in linea di massima i freelance non risultano iscritti a un albo professionale e lavorano in modo specializzato per più clienti su singoli progetti di durata limitata nel tempo: oggi le attività prevalenti per i freelance sono quelle di copywriter, fotografo, social media manager, programmatori, designer e così via.
È senza dubbio possibile passare dall’essere un lavoratore dipendente all’essere un libero professionista. Chi sceglie di fare il “salto” deve innanzitutto conoscere bene i rischi a cui va incontro, le norme dei liberi professionisti nel proprio settore e l’andamento del mercato; dal punto di vista pratico, come abbiamo visto, è sufficiente che rassegni le proprie dimissioni al datore di lavoro e segua l’iter per aprire la partita IVA, possibilmente avendo già alcuni contatti di potenziali clienti per iniziare a svolgere la propria attività con un minimo di sicurezza.
Il libero professionista, tendenzialmente, non può costituire una ditta individuale proprio perché, come spiegato nel paragrafo dedicato, egli svolge un’attività di natura intellettuale mentre l’imprenditore che costituisce una ditta individuale è per lo più un commerciante o un artigiano.
In questa guida abbiamo illustrato chi è il libero professionista, passando in rassegna come funziona questo tipo di attività e le principali differenze con altri inquadramenti, oltre ai vantaggi e agli svantaggi che questo comporta.
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