Scegliere la carriera del libero professionista può apparire una cosa semplice, ma in realtà ci sono davvero tanti aspetti a cui pensare prima di compiere questa decisione. La prima domanda da porsi, per esempio, è: come aprire una partita IVA? E successivamente, quali sono i requisiti per aprire una partita IVA e quali tipologie di partita IVA esistono? Inoltre, il libero professionista dovrà capire quali costi avrà da sostenere e dovrà destreggiarsi all’interno dei codici ATECO.
Al primo impatto può sembrare un mondo complicato, ma niente paura: leggendo questa guida i liberi professionisti potranno chiarirsi le idee e trovare le risposte in merito a come aprire la partita IVA, quale regime fiscale scegliere, come versare i contributi e tutte quelle domande che possono emergere quando si prende in considerazione l’apertura della partita IVA.
Partiamo dall’inizio: quando un libero professionista deve aprire la partita IVA? E qual è la differenza rispetto alla prestazione occasionale?
In molti casi, quando un lavoratore arriva a chiedersi se e come aprire una partita IVA è perché è giunto alla fine di una fase professionale, più o meno lunga, in cui ha scelto di avvalersi della formula della prestazione occasionale, conosciuta anche come ritenuta d’acconto. In questo caso, che si tratti di un avvocato, di un grafico o di un copywriter, il procedimento è sempre lo stesso: si emette una ricevuta in cui viene applicata una trattenuta corrispondente al 20% del compenso lordo pattuito. Questo 20% di denaro di cui il lavoratore si priva viene trattenuto direttamente dal committente, che dovrà però versarlo al Fisco attraverso il modello F24, entro il giorno 16 del mese seguente alla data riportata sulla ricevuta (sulla quale, qualora l’importo superi i 77,47 euro, bisogna anche apporre una marca da bollo del valore di 2 euro).
La prestazione occasionale, tuttavia, si può utilizzare solo per un periodo limitato, proprio in virtù della sua natura temporanea. Per fare un esempio concreto, un copywriter che ha una serie di lavori da svolgere programmati nel tempo non può utilizzare la ritenuta d’acconto per il pagamento delle sue prestazioni, ma deve necessariamente aprire la partita IVA, che viene rilasciata dall’Agenzia delle Entrate e che consiste in una sequenza numerica che non solo serve a identificare il professionista che ne è titolare, ma anche ad avere un quadro chiaro e completo della sua situazione fiscale.
In sostanza, possiamo dire che se un’attività non è (o non è più) occasionale ma diventa abituale – a prescindere dal reddito – diventa necessario aprire una partita IVA.
A conferma di questo, possiamo consultare il Codice Civile, che all’articolo 2222 specifica che si intende lavoratore autonomo occasionale colui che, a fronte di un corrispettivo, offre un lavoro o un servizio senza dover stipulare un contratto di lavoro subordinato, ma in via del tutto occasionale.
Nel concreto, ciò significa che la formula della prestazione occasionale può essere utilizzata da quei lavoratori che mettono a disposizione le proprie competenze professionali solo occasionalmente e non in modo continuativo, nello specifico l’attività in oggetto non deve essere svolta per più di 30 giorni all’anno per ciascun committente e non deve proseguire in maniera costante nel tempo, e per un tetto massimo di 5.000 € lordi di ricavi annui.
Si tratta di un concetto fondamentale nel momento in cui si deve optare per la prestazione occasionale o la partita IVA, perché determina il fatto di essere in regola o meno con le disposizioni di legge relative al lavoro autonomo.
Se, dunque, si intende avviare un’attività come libero professionista, bisogna mettere da parte l’idea di ricorrere alla prestazione occasionale ed entrare nell’ottica di aprire una partita IVA, in modo da essere in regola sia dal punto di vista fiscale che da quello contributivo.
Nella scelta tra la partita IVA e la prestazione occasionale, infatti, non importa il volume d’affari prodotto, ma la continuità del lavoro: di conseguenza, è necessario possedere una partita IVA anche se si hanno pochi contratti in essere ma comunque l’attività prosegue nel corso del tempo con regolarità.
Facciamo un esempio concreto per capire meglio di cosa stiamo parlando: se si ha un sito e-commerce, è necessaria la partita IVA, anche se i clienti sono pochi. Allo stesso modo, ha lo stesso obbligo anche chi affitta la propria casa o, magari, il proprio camper, solo durante la stagione estiva, ma lo fa in modo continuativo nel tempo. Viceversa, se si partecipa occasionalmente ai mercatini dell’usato per rivendere oggetti che non si utilizzano più, non occorre la partita IVA, dal momento che si tratta di un’attività occasionale.
L’apertura della partita IVA, quindi, non è subordinata all’attività di impresa così come comunemente intesa, ma sempre nel momento in cui si svolge un lavoro autonomo con regolarità.
Per concludere, un libero professionista che svolge regolarmente un’attività di lavoro intellettuale, come ad esempio un graphic designer o un copywriter, ha l’obbligo di aprire la partita IVA per poter continuare a lavorare in regola con il fisco.
In base a una nota redatta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, i professionisti che risultano iscritti a un Albo (come per esempio medici, avvocati o ingegneri) non possono emettere ritenuta d’acconto anche nel momento in cui offrono una prestazione di tipo occasionale, sempre che sia inerente alla propria attività.
Ciò vuol dire che un medico che effettua una visita occasionalmente deve comunque emettere regolare fattura, ma se lo stesso professionista offre una ripetizione di matematica al figlio dei vicini può presentare una ricevuta con ritenuta d’acconto per il pagamento della propria prestazione occasionale.
Un’altra cosa fondamentale da analizzare e da non sottovalutare per l’apertura della partita IVA da parte di un libero professionista sono i costi e le implicazioni che essa richiede.
Per quanto riguarda i costi dell’apertura in sé, sono davvero minimi (una cifra che generalmente non supera i 100€) o addirittura nulli: si tratta semplicemente di fare richiesta all’Agenzia delle Entrate (o incaricare il proprio commercialista di farlo), che rilascerà un codice di undici cifre corrispondente appunto al numero di partita IVA, in modo che l’attività possa essere tracciabile sul piano fiscale.
Oltre a questo, però, è necessario considerare bene anche i seguenti aspetti e i diversi costi di mantenimento che da essi conseguono:
E a proposito di costi, non bisogna dimenticare anche le eventuali spese da sostenere qualora sia necessario, per svolgere la professione, prendere in affitto uno o più locali con relative utenze oppure dover retribuire eventuali collaboratori o dipendenti.
In estrema sintesi, possiamo affermare che l’apertura della partita IVA conviene nel momento in cui, al netto dei guadagni derivanti dalla propria attività professionale, i costi non tanto per aprire quanto per mantenere la partita IVA risultano ammortizzati.
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Una volta che la propria attività di libero professionista è stata inquadrata tra quelle che esulano dall’utilizzo della formula della prestazione occasionale, occorre comprendere cosa comporta aprire una partita IVA e considerare bene tutti i passaggi da compiere.
In ogni caso non c’è da preoccuparsi: per un libero professionista, per completare la procedura non serve molto tempo, in alcuni casi anche meno di 24 ore, e l’operazione può essere effettuata direttamente online in modo rapido e agevole.
Dunque, come si fa ad aprire una partita IVA? L’operazione si articola in tre principali step:
Consideriamo questi passaggi uno per uno e approfondiamo i vari aspetti legati a ciascuno di essi.
Il primo elemento che un libero professionista deve considerare per l’apertura della partita IVA è innanzitutto la scelta del regime fiscale a cui aderire: in Italia al momento ne esistono principalmente due tipologie, il regime ordinario e quello forfettario. Proviamo a capire come funzionano e quali differenze ci sono.
Iniziamo con il prendere in esame il regime ordinario. Questo tipo di partita IVA può essere aperta da chiunque voglia intraprendere un’attività – professionale o produttiva – autonoma e prevede alcuni precisi obblighi dal punto di vista contabile, burocratico e amministrativo. Viene scelta in particolar modo per l’apertura di ditte individuali; dunque, è meno indicata per i liberi professionisti, soprattutto per coloro che sono all’inizio della carriera lavorativa.
Chi sceglie l’opzione del regime ordinario è sempre tenuto a emettere fattura in formato elettronico. Per semplificare il lavoro, è possibile scaricare alcuni software dedicati, che permettono di gestire con facilità e in modo razionale le fatture dell’attività, ma anche il flusso di cassa o gli insoluti, così da avere sempre un quadro aggiornato della situazione.
Tra gli obblighi dei professionisti che scelgono di optare per il regime ordinario figurano anche quelli di natura previdenziale, e cioè:
In caso di regime ordinario, le spese sono distribuite nel seguente modo:
L’alternativa al regime ordinario, indicata maggiormente per i liberi professionisti che intendono aprire la partita IVA, consiste nel regime forfettario.
Si tratta di una soluzione che consente di usufruire di diverse agevolazioni (è infatti chiamato anche regime fiscale agevolato), innanzitutto a livello contabile: non c’è bisogno di registri, ISA, iscrizione all’INAIL o al Registro delle Imprese. Sul piano fiscale, inoltre, il regime forfettario prevede un’aliquota unica. Ciò significa che i professionisti che optano per il regime forfettario pagheranno il 15% delle imposte su una base imponibile che viene calcolata a forfait e che è variabile a seconda del codice ATECO scelto, di cui parleremo tra poco in modo più approfondito.
Proprio a causa delle grandi agevolazioni, esistono però una serie di requisiti per poter accedere al regime fiscale forfettario: il primo tra tutti è che il limite reddituale massimo del libero professionista deve essere inferiore ai 85 mila euro all’anno, come stabilito dalla Legge di Bilancio 2023 n.197. In più, occorre considerare alcune specifiche, come per esempio quella secondo cui, per poter usufruire del regime agevolato, un professionista munito di partita IVA non può sostenere costi per collaboratori superiori ai 20mila euro, essere in società con altri soggetti e avere un reddito da lavoro dipendente che va oltre i 30mila euro.
Ma quali sono i costi di apertura e, soprattutto, di mantenimento di una partita IVA forfettaria?
Essi sono legati prevalentemente all’aliquota sostitutiva dell’IRPEF, fissata al 5% per i primi 5 anni e poi al 15% dal sesto anno di attività in poi. L’aliquota per i professionisti iscritti alla gestione separata INPS è del 26,07%; artigiani e commercianti devono invece iscriversi necessariamente alla Camera di Commercio, versando all’INPS contributi fissi che ammontano a circa 4.500 euro annui. Per le partite IVA forfettarie, tuttavia, è possibile usufruire del regime INPS agevolato, che permette di pagare il minimale ridotto del 35% in quattro rate trimestrali, a patto che la richiesta venga inoltrata in sede di apertura della partita IVA oppure entro il 28 febbraio dell’anno in cui viene aperta.
Rispetto al regime ordinario, dunque, i costi che un libero professionista deve sostenere per aprire e per mantenere una partita IVA in regime forfettario sono decisamente minori, sia per quanto riguarda la tassazione agevolata che le spese da sostenere nel complesso per gestire la propria attività.
Per capire quanto costa aprire una partita IVA, comunque, bisogna considerare – a prescindere dal regime scelto – anche le eventuali spese per ricevere il supporto di un professionista: il solo invio telematico del modello per l’apertura della partita IVA ha un costo che varia dai 100 ai 300 euro più IVA, cui si può aggiungere anche la spesa per la consulenza iniziale. Avvalersi dell’aiuto di un commercialista, inoltre, comporta costi fissi da aggiungere a quelli di gestione della partita IVA.
Nonostante i costi, però, è bene non sottovalutare questo tipo di supporto, dal momento che non è sempre facile agire correttamente all’interno del mondo del fisco e il rischio di errore è sempre dietro l’angolo.
La partita IVA e il codice fiscale, come è noto, sono due codici alfanumerici che permettono di identificare un’impresa tra tutte quelle che risultano iscritte al Registro delle imprese. Ciò che forse è meno conosciuto è il fatto che questi due codici “interagiscono” tra loro: tramite il sito dell’Agenzia delle Entrate, infatti, è possibile effettuare la verifica di qualsiasi codice fiscale a livello nazionale, dato che questa è in diretto collegamento con l’Anagrafe Tributaria.
Solitamente, per le società la partita IVA e il codice fiscali risultano uguali, mentre nel caso delle imprese individuali sono diverse: a partire dalla partita IVA è però possibile risalire al codice fiscale di una impresa individuale (e viceversa), usufruendo dell’apposito servizio, denominato Telemaco.
Il secondo passaggio, indispensabile per un libero professionista per completare la procedura di apertura della partita IVA, è la scelta del codice ATECO, legato alle singole attività economiche. Si tratta di uno step molto delicato, perché è ciò da cui dipende il coefficiente di redditività per i professionisti che aderiscono al regime forfettario e, di conseguenza, l’inquadramento previdenziale e il pagamento dei contributi.
Ma che cos’è, esattamente, il codice Ateco, e a che cosa serve? Esso è un codice alfanumerico univoco e identificativo di una specifica attività economica (la sigla ATECO è l’abbreviazione, per l’appunto, delle parole “ATtività ECOnomica”). È previsto per ogni partita IVA che svolga la propria attività economica in qualità di libero professionista, di impresa, di associazione o di fondazione. Serve inoltre per ottenere la DIA (cioè Dichiarazione di Inizio Attività), per aprire un’attività commerciale rivolta al pubblico e per la profilazione dell’Inail, oltre che per stabilire quale regime contributivo viene applicato a ciascun titolare di partita IVA.
L’attuale classificazione di tutte le attività economiche, costantemente aggiornata e chiamata Ateco2007, è entrata in vigore nel 2008 sul modello di quella stilata dall’Eurostat, l’organo della Commissione Europea adibito al rilevamento delle statistiche che ha cercato di omologare le classificazioni economiche di tutti i Paesi membri dell’Unione Europea per avere una nomenclatura standard e omogenea. A livello europeo, i codici Ateco prendono il nome di Codici NACE (Nomenclature statistique des Activités économiques dans la Communauté Européenne).
Chi svolge più di un’attività economica con diverse classificazioni deve essere in possesso di più codici Ateco, uno primario e altri secondari.
Il codice Ateco è un codice alfanumerico composto da due parti:
a – agricoltura, silvicoltura e pesca
b – estrazione di minerali da cave e miniere
c – attività manifatturiere
d – fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata
e – fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento
f – costruzioni
g – commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli e motocicli
h – trasporto e magazzinaggio
i – attività dei servizi di alloggio e di ristorazione
j – servizi di informazione e comunicazione
k – attività finanziarie e assicurative
l – attività immobiliari
m – attività professionali, scientifiche e tecniche
n – noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese
o – amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria
p – istruzione
q – sanità e assistenza sociale
r – attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento
s – altre attività di servizi
t – attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico; produzione di beni e servizi indifferenziati per uso proprio da parte di famiglie e convivenze
u – organizzazioni e organismi extraterritoriali
Come dicevamo, il codice Ateco ha molteplici funzioni: lo scopo principale è appunto quello identificativo e descrittivo dell’attività economica avviata dal libero professionista titolare della partita IVA.
Un’altra fondamentale funzione del codice Ateco è quella di determinare il regime contributivo che il titolare di partita IVA dovrà adottare, e che vedremo nel paragrafo successivo.
Inoltre, attraverso il codice Ateco sono individuabili da parte dell’Inail le percentuali di rischio (alto, medio oppure basso) di ciascuna attività economica, e di conseguenza sono stabiliti i necessari adempimenti circa la sicurezza sul lavoro.
Infine, la suddivisione delle attività economiche del codice Ateco permette all’Istat (l’Istituto Nazionale di Statistica) di compiere studi e analisi a livello statistico in ambito economico.
Se si è titolari di una partita IVA, si è già in possesso del codice Ateco relativo alla propria attività economica, che viene fornito al momento stesso dell’apertura della partita IVA da parte della Camera di Commercio: per consultare l’elenco integrale di tutti i codici Ateco è possibile visitare l’apposita sezione sul sito dell’Istat che contiene anche un motore di ricerca che funziona tramite parole chiave, sul sito della Camera di commercio, oppure è possibile chiederlo al proprio commercialista di fiducia o al proprio consulente fiscale.
Per risalire al proprio codice Ateco, inoltre, è possibile prendere visione della visura camerale (se si è un soggetto giuridico) o del certificato di attribuzione del proprio numero di partita IVA per i soggetti privati.
L’ultimo aspetto dell’iter procedurale da tenere in considerazione quando un libero professionista intende aprire la partita IVA è quello legato ai contributi previdenziali.
Esistono attività soggette a partita IVA per esercitare le quali occorre aver superato un esame di abilitazione o essere iscritti a un Ordine o a un Albo Professionale specifico, come accade per esempio per i medici o per gli avvocati. In questo caso, bisogna far riferimento alle regole della Cassa Previdenziale dedicata per ciascuna attività nel momento in cui si devono versare i contributi.
Per tutte le altre professioni, invece, occorre l’iscrizione all’INPS, ma per ogni attività i contributi dovuti sono diversi. Nello specifico, i liberi professionisti dovranno iscriversi all’apposita Gestione Separata INPS.
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